Storia apocalittica della memoria indifesa, del rischio dell’oblio e del revisionismo storico, vede i due protagonisti, il viaggiatore Melik ed il veterinario Oscar Rugyo, incontrarsi, forse casualmente, forse no, in uno scompartimento del treno che sta portando Melik in Ungheria, alla ricerca delle sue radici e di suo zio, fratello del padre recentemente scomparso.
Un incontro surreale e devastante, che porterà Melik ad apprendere da Oscar che la Seconda Guerra mondiale non c’è mai stata.
Con relativa negazione di tutto ciò che da quell’evento è derivato: bombardamenti, deportazioni, morti.
Tutti eventi questi, frutto di un malinteso, un complotto giudaico laburista finalizzato a mettere in cattiva luce la grande Germania.
Tesi, dimostrata con tanto vigore e stravagante fantasia, più che convincente, da cui scaturirà la conseguente conclusione che tutto ciò che Melik ha vissuto e vive non è assolutamente esistito.
Provocando nella sua fragile mente, una fitta, un lancinante dolore, come di qualcosa che si rompe, si incrina, si frattura, dentro la propria testa. Un dolore come di una botta, o, più probabilmente, di una caduta da un treno.
liberamente tratto dal romanzo “Lo Zio Coso” di Alessandro Schwed
con Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan
adattamento teatrale e regia Manfredi Rutelli
musiche originali e paesaggi sonori Paolo Scatena
luci Simone Beco
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